Luogo | Pian Grande di Castelluccio di Norcia (incrocio che conduce ad Ascoli Piceno) |
Tematica | La Lenticchia di Castelluccio, i processi di coltivazione e produzione. |
Orario | Dalle ore 10,30 alle ore 13,00 e dalle ore 15,00 alle ore 17,00 |
Info utili | L’evento divulgativo avrà luogo in due momenti: il primo al mattino alle ore 10,30 e il secondo nel pomeriggio alle ore 15,30. Gli interessati potranno scegliere l’orario più comodo per assistere e avranno la possibilità di ricevere dei prodotti in omaggio al termine dell’evento. |
La Lenticchia di Castelluccio di Norcia rappresenta una delle eccellenze del patrimonio gastronomico italiano. Chiamata in dialetto “Lenta”, costituiva un alimento fondamentale per gli abitanti della zona, non a caso era considerato “la carne dei poveri”.
Grazie alle condizioni climatiche piuttosto rigide in cui nasce, a circa 1500 metri di altezza, la lenticchia di Castelluccio è l’unico legume che non ha bisogno di essere trattato per la conservazione, perché non è attaccata dal tonchio, insetto le cui larve si nutrono dei legumi.
In passato il processo di coltivazione e produzione della Lenticchia di Castelluccio si articolava in più fasi che impegnavano diversi periodi dell’anno.
L’aratura e la semina avvenivano in primavera, orientativamente tra marzo e aprile, dopo lo scioglimento del manto nevoso.
Dopo circa due mesi dalla semina si aveva, e si ha tuttora, la fioritura dei campi della lenticchia, un’esplosione di colori unica nel suo genere.
Tra la fine di luglio e l’inizio di agosto si procedeva con la carpitura, un’operazione svolta manualmente, che consisteva nell’estirpazione della piantina della lenticchia, della quale veniva carpita anche la radice, affinché potesse maturare al meglio i suoi frutti. Man mano che la lenticchia veniva raccolta si creavano i mucchietti sul campo, ossia piccoli cumuli di piantine di lenticchia, disposti in lunghe file parallele. I mucchietti venivano lasciati essiccare al sole per qualche giorno, affinché il prodotto si maturasse.
Nonostante oggi vengano impiegate falciatrici e ranghinatori per lavorare le andane (cumuli di piantine di lenticchie disposti in file), l’essiccazione avviene ancora in maniera del tutto naturale sotto i raggi solari, ed è facile comprendere come le condizioni metereologiche giochino un ruolo centrale.
Quando la lenticchia era sufficientemente secca si caricava e si portava all’aia, una zona del Pian Grande vicino alla biforcazione per la strada che porta a Forca di Presta. Questa operazione si chiamava ricacciatura e consisteva nel creare grandi mucchi di lenticchia mediante dei carretti chiamati barozze, successivamente coperti con dei teli per proteggerli dalle piogge.
Dopo alcuni giorni, si procedeva alla trita: si spargeva un mucchio di lenticchia all’aia e con lu mazzafrustu, un attrezzo costituito da due bastoni legati tra loro con una corda, si batteva la paglia seguendo un movimento rotatorio da dietro le spalle al terreno. L’intento era quello di far fuoriuscire i semi di lenticchia dai loro baccelli.
La fase successiva alla trita era la formazione del cantile. Attraverso delle forche si sollevava, sbattendola in continuazione, la paglia della lenticchia tritata e si metteva da parte per essere pressata in balle e portata al fienile. Una volta raccolta tutta la paglia, sul terreno rimaneva la cama, ossia l’insieme delle lenticchie e della pula (baccelli contenenti i semi). Attraverso delle scope di faggio la cama veniva raccolta e ne veniva fatto un mucchio, chiamato cantile.
Una delle ultime fasi era la scamatura, un’operazione che aveva bisogno del soffio del vento, che doveva essere continuo ma non troppo forte. La scamatura si praticava gettando la cama in aria al vento, che con il suo soffio allontanava la pula, essendo più leggera, e lasciava ricadere nel cantile i semi della lenticchia. Si tratta di un’attività che richiedeva una particolare abilità, che poteva essere acquisita solo nel corso degli anni, motivo per cui era generalmente svolta dalla persona più anziana.
Ultima fase, ma non meno importante, era la conciatura, esclusivamente affidata alle donne, che aveva lo scopo di togliere tutte le impurità dalla lenticchia proveniente dal campo.
Oggi chiaramente queste pratiche sono in disuso e sono state completamente sostituite dal lavoro delle mietitrebbie e dei trattori, che hanno reso possibile un’evoluzione importante nel campo agricolo. Esistono, inoltre, appositi impianti costituiti da macchinari come densimetrica, selezionatrice ottica, metal detector, macchina x-ray, che consentono di avere un prodotto estremamente sicuro da un punto di vista igienico-sanitario, garantendo l’assenza di qualsiasi corpo estraneo, come pietre, vetri, plastiche e metalli.
La commercializzazione della lenticchia è avvenuta in maniera significativa solo negli ultimi 20/30 anni e si concentra nel periodo compreso tra settembre e dicembre con la disponibilità del nuovo raccolto. Non bisogna dimenticare infatti che le produzioni della Lenticchia di Castelluccio di Norcia IGP sono piuttosto limitate rispetto ad altre leguminose, che invece possono essere reperite durante tutto l’anno, sia perché il territorio in cui vengono coltivate è circoscritto all’altopiano di Castelluccio, sia perché la coltivazione avviene nel rispetto dei ritmi stagionali, che prevedono la semina una volta l’anno.